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La scuola ha un futuro?

Articolo a cura di Raimondo Giunta

Ripensare la scuola

Ragionare di scuola nei giorni in cui viene sacrificata e costretta alla didattica a distanza per coprire le pubbliche inadempienze soprattutto in materia di trasporti pubblici, dopo mesi estenuanti e difficili in cui gli istituti scolastici hanno lavorato per garantire in sicurezza la ripresa delle attività didattiche del nuovo anno scolastico, può sembrare un mero esercizio retorico; forse una provocazione in un clima di esasperata delusione. Credo invece che serva per alzare lo sguardo “in modo da contrastare il rischio di ritirarci impauriti e talvolta rabbiosi nel nostro particulare” (Chiara Saraceno). Se vogliamo pensare al futuro con ragionevole speranza, sempre con la scuola dobbiamo fare i conti, perché necessariamente ci proietta su quello che potrebbe essere il nostro domani, avendo il compito di prendersi cura delle nuove generazioni.

Ma la scuola così come l’abbiamo vissuta e così come ancora funziona ha un suo futuro? Questo è il problema e non è per nulla ozioso che in modo particolare chi riveste un ruolo in un sistema di istruzione si chieda come dovrebbe/potrebbe essere la scuola fra qualche anno. Pensarci significa impegnarsi per impedire, ognuno per la propria parte, che la scuola si lasci trascinare dagli eventi, anche se non è dato di potere definire con nettezza i confini di quel che sarà la nostra società tra un decennio, ma sapendo, già, che sono cambiati gli orientamenti e le scelte di moltitudini di persone relativi ai processi di istruzione e formazione. La scuola che verrà dovrà fare i conti sia con le mutate esigenze di molte famiglie e della società, sia col fatto che fuori della scuola esistono tanti modi di istruirsi e tanti modi di far valere quello che si è imparato fuori dai circuiti istituzionali.

Grandi sono sempre in questo campo le responsabilità delle autorità preposte alla guida e alla direzione di una società; responsabilità che per forza di cose si iscrivono nella logica politica e culturale di chi deve prendere delle decisioni, portarle avanti e darle un senso, proponendo di conseguenza valori e criteri prioritari con cui governare l’eventuale processo di rinnovamento del sistema di istruzione e formazione. Responsabilità che non dovrebbero privarsi del contributo di pedagogisti, di sociologi, di uomini di scienza e di cultura, di uomini di scuola e del mondo del lavoro. Su questo tema, sotto gli auspici della Revue Internationale d’Education de Sévres, si è svolto il convegno Réformer l’éducation, di cui sono stati pubblicati gli atti, anche on-line (n. 83/2020). Vale la pena di leggerli. Negli interventi degli studiosi provenienti da diverse parti del mondo vengono affrontati quei problemi sui quali dovrebbe esercitarsi la riflessione per potere elaborare proposte di rinnovamento del sistema di istruzione e formazione, che tengano conto dei fattori di trasformazione della società e del ruolo che la scuola vi deve avere. Un convegno che non si è dovuto misurare con le ferite arrecate alle scuole in ogni parte del mondo dalla pandemia del COVID 19, che ha reso più acuti gli interrogativi sul destino della scuola, sull’identità e sul significato che debba avere. La stessa necessità di ricorrere alla didattica a distanza per mantenere nei limiti del possibile il rapporto educativo con gli alunni si è subito trasformata in una opportunità per proporre di ristrutturare le procedure abituali dell’insegnamento, di riconfigurare con uno sguardo proiettato nel futuro gli ambienti di apprendimento e l’articolazione del rapporto tra alunni e luoghi di formazione.

La scuola e i molti luoghi dell’apprendimento

Da tempo non c’è pace nel mondo dell’istruzione; un mondo attraversato da fortissime tensioni che possono lacerarne il tessuto e che se non sono adeguatamente governate possono sfociare in soluzioni che rischiano di farne perdere la complessità e la ricchezza culturale. E la complessità va governata, non mutilata a colpi di accetta. Sono le tensioni fra tradizione, saperi consolidati e attualità e saperi emergenti; tra scuola formale e molteplicità dei luoghi e delle occasioni di apprendimento; tra ripiego comunitario e apertura alla diversità; tra funzione educativa e adattamento funzionale ai cambiamenti della società; tra zone favorite e quelle sfavorite; tra servizio pubblico e scuola a domanda individuale. Fa da sfondo a queste polarità lo sviluppo impetuoso della multimedialità e dell’informatica, che segneranno qualsiasi soluzione potrà essere data nel futuro al sistema di istruzione e formazione, perché costituiscono di fatto lo spazio degli ambienti di apprendimento.

Alla scuola non è dato di pensare di restare ferma, ma nemmeno di infilarsi in modifiche che invece di rinnovarla, la possono snaturare. Non ha bisogno di scelte casuali, ma di quelle sensate, siano a breve o a lungo termine. E queste sono possibili se ci si curerà del quadro generale dell’istruzione e della formazione; se ci si curerà del come, del cosa, ma soprattutto del perché si debba fare scuola. La scuola è un’istituzione in cui si opera bene soltanto lavorando secondo finalità. Se riforme/innovazioni devono esserci, per misurarle e per valutarle bisognerà vedere fin dove e come riescano a salvaguardare il carattere dell’istruzione/formazione come bene comune, disponibile per tutti, come fondamento di coesione sociale; bisognerà constatare se e come siano riuscite a dare una risposta alle richieste più significative che dalla società nel suo insieme vengono formulate.

Un problema che acquista un rilievo crescente nei sistemi di istruzione è quello che emerge nel rapporto tra scuola formale e la molteplicità dei luoghi e delle occasioni di apprendimento, fenomeno questo che può trasformare il mondo della scuola e alterarne la natura.

Ci sono bisogni di apprendimento sempre più estesi e in vario modo sostenuti, che non sempre hanno risposte dentro i sistemi scolastici; per un verso cresce la corsa a rifornirsi in luoghi altri dalla scuola e per un altro si cerca di condizionare ogni singolo istituto con la richiesta di modifica dei curricoli e di integrazioni formative a immagine e a convenienza di quel gruppo di persone che sono in grado di sostenerla e di farla valere. Un fenomeno che potrebbe sfuggire di mano e che in alcuni settori della società potrebbe fare crescere l’aspettativa di un superamento di un sistema che non riesce o che non vuole accompagnare questa corsa all’impossessamento privato di quel bene pubblico che è la conoscenza.

In questo potenziale conflitto è in gioco il destino della funzione conoscitiva della scuola. Nel momento in cui in qualsiasi luogo si può apprendere, che cosa si deve e si può apprendere a scuola? Non è una novità che la scuola e quindi l’insegnante non siano più nella società attuale gli unici dispensatori di conoscenze. Che non siano più gli unici, non vuol dire che non lo possano più essere. Questo comporta che con chiarezza debba essere circoscritta, indicata e valorizzata l’area specifica che in questo campo attiene alla scuola e che solo a scuola può essere coltivata. Il sistema scolastico è legittimato ad esistere, perché ancora è tenuto a svolgere il compito di trasmettere da una generazione ad un’altra il patrimonio di saperi, di conoscenze, di tecniche e di valori del passato e solo per questo ha un senso che in ogni scuola si incontrino studenti e docenti. La scuola non può smettere di essere luogo di trasmissione razionale e ordinata del sapere, luogo di formazione di conoscenze solide e strutturate. A scuola si costruiscono, si formano le basi concettuali di alcuni saperi che si ritengono necessari e con le quali in seguito si può progredire in autonomia in quello che si sceglie di coltivare. I saperi sono beni immateriali che costituiscono l’infrastruttura della nostra civiltà; sono fini da rispettare e mezzi per crescere e per apprendere altri saperi. Ma si apprendono con procedure rigorose e controllate. Questo risultato non può essere ottenuto attraverso i media o con internet, nei quali è prevalente la componente emotiva e con i quali è possibile informarsi, ma non istruirsi seriamente.

La funzione conoscitiva

La funzione conoscitiva della scuola, oggi, va esaltata e rinforzata; non c’è senso critico, di cui si ha grande bisogno, se non si possiede una rete concettuale ampia, solida e strutturata. Non è l’ultima conoscenza, l’ultima novità che qualifica il lavoro a scuola, ma la capacità di saperne cogliere il senso e il valore.

La scuola moderna affonda le proprie radici nella cultura illuministica; ne sono derivati come finalità del proprio operare, il desiderio di conoscere, il sapere critico e documentato, la ricerca metodica, l’amore per le scienze, la lotta contro le superstizioni e le credenze popolari. Tenendovi fede, a scuola si può far compiere negli alunni il passaggio dal senso comune all’interpretazione razionale di sé e del mondo che li circonda, li si può rendere capaci di controllare la consistenza e la veridicità di molte informazioni che circolano nel mondo, li si può formare ad utilizzare bene internet e le risorse dell’informatica. Altrimenti come dice B. Vertecchi gli alunni saranno fortemente attratti da dispositivi che riducono la loro operatività; che limitano le acquisizioni di capacità di scrittura, di lettura ad alta voce, di calcolo, di osservazione dei fenomeni, di soluzione dei problemi, di acquisizione di un lessico appropriato per formulare e comunicare concetti.

La scuola per sostenere la funzione conoscitiva non può parlare di qualsiasi cosa. È tenuta ad adottare criteri ragionevoli e condivisi dalla società per proporre i saperi e le conoscenze che siano conformi alle sue competenze. È necessario passare dal paradigma dell’allargamento dell’enciclopedia dei saperi, come fin qui si è fatto, a quello della loro selezione, perché la scuola non si disperda nella moltiplicazione degli intrecci col mondo esterno. L’autonomia del sistema scolastico si esprime nella capacità di avere propri criteri di riferimento per stabilire la gerarchia dei saperi che deve trasmettere e delle competenze che deve formare; nella capacità di dettare codici di comportamento, di organizzare modi di apprendimento, di difendere il proprio linguaggio e le proprie regole di comunicazione. Questi criteri di riferimento sono l’anima culturale di un sistema scolastico. Autonomia, non autoreferenzialità: nessun sistema scolastico potrebbe sopravvivere chiudendosi ai grandi temi culturali della propria epoca, ai problemi della società in cui è collocato. Quello che si vuole dire è che la scuola non è solo apertura; è anche per certi aspetti “diversità” e “separatezza”. “La storia della scuola è la storia di una separazione: separazione dei bambini rispetto agli adulti; separazione della preparazione alla vita relativamente alla vita stessa; messa in disparte degli apprendimenti rispetto all’attività produttiva” (B. Rey). Il paradosso della scuola è quello di essere un’istituzione separata nella quale si dispensano conoscenze slegate dalla vita quotidiana ed avere la vocazione di preparare alla vita sociale. La scuola non è il luogo delle situazioni reali. “La scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine di considerarlo e valutarlo, un lavoro che resta coinvolto con quel mondo, in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento” (L. Resnick). La scuola non può e non deve limitarsi ad assicurare una semplice continuità con la società che l’attornia o con l’esperienza quotidiana. “Essa è quella particolare comunità in cui si fa l’esperienza di scoprire le ‘cose’ usando l’intelligenza e ci si introduce in nuovi e inimmaginati campi d’esperienza” (J. Bruner).

In pagine di aspra ed efficace polemica contro certe tendenze pedagogiche e di politica scolastica, G. Ferroni nella Scuola sospesa affermava che non è sensato rendere il sistema scolastico subalterno ai modelli della comunicazione di massa e al consumo tecnologico, perché i quadri concettuali delle discipline e i metodi che sono loro propri non cambiano per l’uso delle tecnologie. Affermava, anche, che bisogna evitare ogni forma di illusione, di accecamento tecnologico. Questo non significa che non si debbano considerare e comprendere le implicazioni della tecnologia dell’informazione nella trasmissione del sapere, che non ci si debba fare arricchire dalla tecnologia, di usarla come mezzo. Nell’organizzazione e nella trasmissione delle conoscenze, delle tecniche e del patrimonio culturale del passato i saperi scolastici per le loro caratteristiche (analiticità, sequenzialità, astrazione, logicità, primato della scrittura) superano di gran lunga altre forme di diffusione e di comunicazione delle conoscenze. Per risultati di questo genere gli alunni devono imparare a porre proposizioni limpide, a compiere processi di astrazione, a fare ordinate classificazioni, a svolgere argomentazioni rigorose, a immaginare modelli, ad enunciare generalizzazioni, a procedere ad applicazioni ai casi particolari.

Riproporre e sostenere con forza la funzione conoscitiva della scuola significa fare la parte più grande della riscrittura della missione della scuola nel XXI secolo. La scuola deve ricentrarsi sul compito cruciale dell’istruzione, così come si è tentato di parlarne; deve per equità garantire l’uguaglianza di tutti davanti all’accesso al sapere; deve educare a riconoscere la pertinenza delle informazioni e il valore dei saperi; deve educare ad amare sapere e conoscenza e convincere che l’apprendimento non è mestiere che vale solo per la scuola, ma per tutta la vita di ognuno di noi. Nella situazione odierna la posizione di una persona nella società e nella cultura di appartenenza non dipende da un processo casuale di apprendimento; ma da una specifica e programmata attività di formazione che solo a scuola può svolgersi. Scuola della conoscenza ed equità sono la stessa cosa. Bisogna scommettere su una scuola che afferma alto e forte la sua missione cognitiva.

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